Open & Openness 2 – Limiti e bounderies
L’approccio Open alla visione dei fenomeni organizzativi pone inevitabilmente alcune domande: sino a dove ci si può spingere? Quali sono i confini dei suoi dettami? Ma stabilire un limite all’approccio open non è un ossimoro? Quale è la differenza tra limite e bounderies?
Nel contributo precedente Open & Openness 1 si accennava alla possibile indicazioni di Charlene Li 1 sul tema dei limiti e sul suo affidarsi all’essere veri, ad atteggiamenti e comportamenti autentici che possono risolvere il tema dei limiti di una organizzazione aperta.
Chiudere le porte sarebbe sicuramente un modo rapido ed efficace di controllare meglio le cose. In una immaginaria organizzazione senza contatti con il mondo sarebbe la sola autoreferenzialità a poter gestire le logiche, i processi e la distribuzione delle regole e dei poteri. Una clausura autoefficace ed autoefficente.
Al contrario Von Bertalanffy, sin dal 1950, ci insegna che l’organizzazione è un sistema aperto in relazione con l’ambiente e che la sua interazione con esso porta essa stessa a ridefinire continuamente i proprio assetti, alla ricerca di una omeostasi dinamica che la può preservare dalle “intrusioni” , dalle “infezioni” che impongono lo sviluppo di anticorpi potenti in luogo di una “sopravvivenza attiva” 2 come risposta generativa del sistema organizzativo.
Nel quadro attuale le evoluzioni esterne alle organizzazioni, le dinamiche storico-sociali e socio-economiche, lo sviluppo tecnologico e le nuove reti, hanno caratteristiche storicamente nuove:
- Alta instabilità e variabilità
- Accelerazione e velocità nei cambiamenti
- Bassa previsionalità e controllabilità
- Compressione dei tempi di risposta
- Pluralità delle origini degli input esterni
Le organizzazioni sono sotto una pressione nuova rispetto a 20 anni fa perché tutta questa indeterminatezza richiede elevata adattabilità, flessibilità, accelerazioni e ripartenze, velocità di esecuzione e di apprendimento. La domanda banale è: ma di chi?
Lo Sviluppo Organizzativo ci aiuta ancora una volta a rintracciare contributi che hanno cercato di dare una risposta a quella semplice domanda. Il primo soggetto impattato è un soggetto non meglio definito, cioè “il sistema organizzativo”. Su di esso troviamo migliaia di pagine che partono da punti di osservazione diversi è che definiscono meglio il concetto. Se ne potrà parlare più avanti ma, ora, è necessario focalizzare altri due soggetti destinatari della domanda: il management e le persone.
E’ indubbio che le organizzazioni vivono delle accelerazioni dinamiche interne a volte destrutturanti. Molte ormai sono quelle che non aggiornano costantemente gli organigrammi. Nelle aziende multinazionali, ad esempio, vi sono ruoli che ormai non sono più ascrivibili alle classiche job description , né si riesce con facilità a declinare ruoli che contemporaneamente sono parte di una funzione, governano progetti nazionali (Project Leadership) e danno contributi in progetti internazionali (Team Membership). Ormai non sono così infrequenti i bubblegrammi per questo tipo di realtà.
Il concetto di ruolo organizzativo acquisisce caratteristiche sfocate, meno definite, con un “dna a geometria variabile” che richiede impulsi energetici diversi e nuovi ascrivibili, ad esempio, alla possibilità che vi sia un porzione di potere autodefinita, una capacità di saper e poter intervenire in ragione di situazioni variabili di cui non si ha il tempo di condividere con il capo. In altre parole, a chi ricopre un ruolo non vengono più circostanziati compiti dettagliatamente predefiniti. Al ricoprente quel ruolo viene invece richiesto di operare con elevati margini di autonomia e discrezionalità, quindi potere, in situazioni che sono percentualmente e significativamente variabili rispetto a situazioni più standardizzate.
Già ma entro quali limiti?
Jim Whitehurst parla di valori “che di solito vengono rappresentati graficamente come sfere in equilibrio su un piatto della bilancia..”. 3 In Red Eat i valori divengono in sistema di autoregolamentazione, appunto di equilibrio nell’azione delle persone che agiscono dei ruoli. In una importante azienda multinazionale italiana abbiamo ritrovato una straordinaria convergenza: 4 valori che hanno la potenzialità di orientare e guidare l’azione delle persone, di indicare che nell’azione vi sono dei punti dermi inderogabili che non vengono proposti come limiti ma, piuttosto, come boundaries.
Chi l’avrebbe mai detto che dopo anni l’Empowerment avrebbe trovato nuova vita? Quell’energia nuova, che non si chiama più motivazione ma engagement, che affiora dalle profondità dell’attivazione energetica delle persone, dal loro esserci e dai loro livelli di fiducia, consapevolezza
e responsabilità. Le baunderies dunque e non i limiti. L’idea dunque che i valori possano essere le baunderies, la vera guida dell’agire operativo quotidiano, apre degli scenari straordinariamente nuovi nello studio delle organizzazioni. Sarà il caso che qualcuno inizi a studiare le organizzazioni come culture! 4
Note
1. | ↑ | Charlene Li, Open Leadership, Rizzoli-Etas, Milano 2011 |
2. | ↑ | K.R.Popper , Tre saggi sulla mente umana, Vallecchi, Firenze, 1992. Qui Popper supera la logica del darwinismo come “adattamento passivo” in luogo di una visione attiva e reattiva degli organismi che , in virtù di una loro risposta alle evoluzioni esterne, riescono a sviluppare energia e processi che le consentono di sopravvivere ai cambiamenti. |
3. | ↑ | Jim Whitehurst, L’organizzazione aperta, Garzanti, Milano 2016, pag.127 |
4. | ↑ | Pasquale Gagliardi, Le organizzazioni come culture, ISEDI Torino, 1986 |